L’ingiustizia, la cattiveria, la brutalità. Le torture, gli omicidi, lo sfruttamento. I maltrattamenti, la prevaricazione, gli sfruttamenti. L’abbandono, il menefreghismo, l’egoismo. Alimentiamo il dolore senza nemmeno più tapparci il naso e senza provare alcun senso di colpa. Ci siamo dimenticati di avere indossato un giorno una corazza e non ce la siamo più tolta. E crediamo, invece, di essere nudi. E di essere buoni. E di essere ragionevoli.
Per questo critichiamo gli altri, chiunque altro faccia parte di “un’altra” squadra. Qualunque ma non la nostra. Ma dentro di noi ci sentiamo buoni e crediamo di partorire il bene, la giustizia, la verità. Siamo costantemente in uno stato di parto ma le nostre creature non nascono più, rimangono dentro le nostre pance e si fanno camaleonti. E quando stanno per nascere sporgono appena appena gli occhietti, si guardano intorno, osservano la loro pelle, le loro fattezze e se là fuori vedono creature diverse da loro ritornano dentro , giusto il tempo di diventare come loro.. per tentare di uscire un’altra volta e ritornare indietro, perché nel frattempo qualcosa là fuori è cambiato. E cambiano anche le nostre creature, i nostri pensieri, i nostri pareri, le nostre certezze.
E questo non perché siamo elastici ma perché pensiamo con la pancia. Non perché ci sappiamo contraddire ma perché non sappiamo cosa dire. Non perché troviamo un altro Senso ma perché siamo senza buon senso.
E non sappiamo più indignarci di fronte al dolore. Forse perché il nostro Sé sa che tutto ha un senso, anche il male, anche il dolore? Forse perché il nostro Sé sa che il male non esiste, che non c’è polarità, che non siamo contesi tra due forze opposte ma tutto serve a insegnarci qualcosa? E’ vero ma il nostro Sé, facendosi saccente, vede tutto dall’alto e forse non sa più vedere da dentro.
Il dolore delle donne stuprate, degli uomini imprigionati, dei bambini bombardati, degli esseri umani torturati, delle creature abbandonate alla loro sorte, dei pacchetti di ossa e di carne e di occhi rispediti nei campi degli stupri e nei lager. Di quei pacchetti di occhi che vorrebbero vedere la luce, di mani che vogliono mollare le sbarre, di bocche che urlano il loro nome. Quando l’ideologia e la paura prendono il posto della coscienza e dell’amore l’organismo umano si blocca e rimane in vita solo la corazza. Ma una corazza non è canale, non è flusso, non è vita.
Comunque, secondo me, tutto questo che ci sta accadendo, è dovuto all’uso massiccio del computer (telefono incluso) applicato alla comunicazione. Ci stiamo abituando a vivere chiusi in noi stessi xchè la tecnologia ce lo consente, e non siamo più obbligati a uscire. Usciamo fisicamente ma non lo facciamo più psicologicamente. Nell’era pre cellulari si era costretti a farlo, ed era un bene. Io ricordo con lucidità imbarazzante il giorno che per la prima volta sono uscito di casa con un cellulare. Il mondo, da quell’istante non mi è più stato lo stesso, perché con me avevo un cordone ombelicale che prima non avevo. Ricordo anche l’anno: 1998. Vabbè che dire.. Una volta, prima dei cellulari, mi dava fastidio parlare al telefono.. Perché sentivo la distanza. Oggi parlarsi è considerato un lusso. Che brutta società abbiamo costruito. La pigrizia e la tendenza naturale a spendere la minor quantità di energie a parità di obiettivo raggiunto, ci si sta ritorcendo contro. Se aggiungiamo a tutto questo l’iper-liberismo ovvero l’amore per il denaro di cui siamo tutti intrisi, a discapito di altri valori più veri, umani e gratificanti…. Buona vita a tutti. Siate gentili gli uni con gli altri sui social… Almeno a questo!
"Mi piace""Mi piace"
Sono d’accordo con te e anche con il commento. Si è creata una forma di comunicazione che sembra considerare virtuale anche quello di cui parla. Perchè poi, quando ci si guarda in faccia, la posizione è spesso diversa, per fortuna. Ma le voci virtuali sono tante, si rinforzano una con l’altra, si danno ragione. Torniamo umani
"Mi piace""Mi piace"